La tempra chimica del vetro e le sue nuove applicazioni
Il successo e gli sviluppi futuri del vetro temprato chimicamente
Le nuove frontiere della tempra chimica del vetro, dagli smartphone allo spazio
La tempra chimica del vetro è un trattamento sempre più frequentemente adottato nell’industria del vetro, non soltanto nei settori tradizionali come gli schermi touch di cellulari e dispositivi elettronici ma soprattutto per nuove applicazioni d’avanguardia, dalla farmaceutica all’arredamento.
Questo particolare metodo di lavorazione consente il rinforzo meccanico del vetro, ottenendo così un materiale caratterizzato da una maggiore resistenza a rottura e da una minore sensibilità al danneggiamento superficiale. Per quanto ricco di pregi e punti di forza, infatti, il vetro presenta un intrinseco tallone d’Achille: la sua fragilità. Più correttamente, dobbiamo parlare di limitata resistenza meccanica del vetro: una lastra di vetro che potrebbe teoricamente resistere anche sotto l’azione di qualche tonnellata si rompe fatalmente se soggetta a un carico di poche decine di kg.
Questo perché il vetro è un materiale con una struttura che difficilmente può manifestare fenomeni di deformazione plastica, come accade invece ai metalli o ai polimeri, ma che può essere indebolita dai difetti superficiali dovuti ai processi di trasformazione e all’uso: piccole fessure, abrasioni, solchi, tagli generati dal contatto con altri oggetti o semplicemente dal pulviscolo atmosferico minano la resistenza del materiale.
Il processo di tempra chimica viene applicato proprio per generare uno stato di sforzo residuo di compressione negli strati superficiali del vetro, allo scopo di limitare l’effetto negativo di tali difetti.
Come funziona la tempra chimica
Per spiegare il funzionamento del processo di tempra chimica del vetro non c’è nessuno meglio del Professore Vincenzo Maria Sglavo, Ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento dove insegna Scienza e tecnologia del vetro: una vera e propria autorità nel settore, che opera all’interno del Laboratorio Vetri e ceramici dell’Università considerato un’eccellenza a livello mondiale.
«La tempra chimica si bassa su un processo di scambio ionico attuato a temperature inferiori a quella di transizione vetrosa del materiale – spiega il Professor Sglavo -. In pratica, quando un oggetto in vetro contenente nella propria composizione ioni alcalini (sodio, soprattutto, e in alcuni casi litio) viene immerso in un sale fuso tipo il nitrato di potassio (o di sodio se il vetro contiene litio), si attiva uno scambio tra gli ioni alcalini presenti negli strati superficiali del vetro e gli ioni del potassio presente nel sale fuso. Siccome però il potassio ha una dimensione maggiore del sodio e soprattutto del litio, la struttura del vetro risulta “rigonfiata” e quindi, a seguito del successivo raffreddamento, tenuto conto che il cuore del componente rimane invariato, gli strati superficiali si vengono a trovare in uno stato di forte compressione residua. Il processo è tipicamente condotto a temperature tra 400° e 500° C a seconda della temperatura di transizione del vetro, per tempi di immersione variabili da qualche ora ad un paio di giorni».
A livello industriale il sale fuso è racchiuso in vasche di acciaio inossidabile poste all’interno di un forno di tempra chimica, così da controllarne la temperatura, mentre gli oggetti in vetro sono disposti in ceste o rastrelliere sempre in acciaio inox, che vengono calate nelle vasche e qui lasciate per il tempo programmato. Al termine del processo le ceste o rastrelliere sono sollevate per far sgocciolare il sale fuso residuo ed essere raffreddate il più uniformemente e lentamente possibile. I componenti in vetro temprato chimicamente vengono poi raccolti, lavati delicatamente con acqua e asciugati.